Antibiotici, lo stato dell’arte nel 2016
È in corso una vera e propria guerra che la scienza pensava di avere ormai vinto.
Le armi convenzionali contro le infezioni batteriche, ovvero gli antibiotici, stanno miseramente diventando sempre meno efficaci.
L’ultimo allarme, lanciato nei giorni scorsi, viene dal Regno Unito: il rapporto del Governo inglese arriva addirittura a parlare di epidemia possibile con circa 80mila decessi su 200mila persone “attaccate” da batteri che potrebbero non rispondere ai farmaci.
“Il rischio, anche in Italia, è legato alla numerosità delle persone fragili a rischio di infezione, anche grazie ai progressi nella cura dei tumori e nei trapianti – spiega Massimo Andreoni, Presidente della Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit).
Le manifestazioni cliniche più rilevanti sono polmoniti, infezioni urinarie, infezioni delle ferite chirurgiche e del catetere venoso con quadri di sepsi (diffusione del batterio nell’organismo, ndr.) Così, a distanza di poche decine d’anni dalla comparsa della penicillina, resasi disponibile negli anni 40 e seguita in progressione da un elevato numero di principi attivi sempre più moderni, la medicina si trova ad affrontare un problema di dimensioni vastissime. E con armi spuntate.
La ricerca sugli antibiotici si è dimostrata sempre meno fertile: i nuovi antibiotici sono stati 16 nel quinquennio 1983-1987 poi solo dieci nello stesso periodo degli anni 90 e cinque tra il 2003 e il 2007. Infine, siamo arrivati ad un vero e proprio crollo.
Solo ora si tenta di correre ai ripari, ma con grande fatica. Gli investimenti privati nel settore stanno nuovamente crescendo, dopo un periodo di relativo abbandono per questa branca della medicina da parte dell’industria farmaceutica.
Nel 1990 erano 18 le grandi compagnie che ricercavano antibiotici, nel 2010 soltanto quattro. Il motivo? Più economico che di puro interesse scientifico.
Si è preferito a lungo puntare su trattamenti destinati a mantenersi nel tempo e ad avere ampi margini di guadagno, come gli antitumorali, piuttosto che puntare su nuovi antibiotici destinati ad un numero ristretto di persone e mirati solamente per un numero ridotto di infezioni che le avrebbero usate per pochi giorni.
Adesso però è allarme.
In media il 5 per cento dei pazienti ospedalizzati contrae una infezione durante il ricovero.
Negli Stati Uniti le infezioni ospedaliere allungano in media la degenza di 4 giorni, contribuiscono a 20mila-60mila decessi annui comportando una spesa annua di 2-10 miliardi di dollari. Non va meglio nel vecchio continente: nei Paesi dell’Unione, circa 25mila pazienti muoiono annualmente come conseguenza di infezioni da germi multiresistenti, con un costo associato di 1,5 miliardi di euro In Europa.
Questi numeri fanno correre un brivido ai governanti del pianeta che ora tentano di rimediare con grandi programmi di sviluppo per la ricerca, anche attraverso partnership pubblico-privato.
Negli Usa Barack Obama ha dato il via libera al National Action Plan for Combating Antibiotic-Resistant Bacteria, sviluppato da un gruppo di lavoro che ha coinvolto diverse agenzie federali. Gli obiettivi sono sicuramente impegnativi: entro il 2020 si punta a dimezzare i casi di infezione da Clostridium difficile e le sepsi del sangue da MRsa (Stafilococco aureo meticillino-resistente) rispetto al 2011, oltre che a abbassare del 60 per cento le infezioni ospedaliere legati ai ceppi della famiglia delle Enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemi (una famiglia di antibiotici), del 35 per cento i casi legati a batteri del tipo Pseudomonas multiresistenti e delle infezioni nosocomiali causate dalle specie Pseudomonas multiresistenti. Ovviamente l’iniziativa Usa passa attraverso una drastica riduzione della mancata appropriatezza nell’impiego degli antibiotici, sia in ospedale che sul territorio.
E l’Europa cosa fa?
Da qualche tempo ha lanciato il programma NewDrugs4BadBugs (ND4BB) dell’Innovative Medicines Initiative (Imi) dell’Unione Europea, partnership che sostiene la ricerca e lo sviluppo nuovi antibiotici nei confronti dei batteri resistenti.
La seconda edizione dell’iniziativa prevede per il periodo 2014-2024 un investimento di 3,276 miliardi di euro.
Al momento, in attesa dei risultati di questi sforzi immani, il bicchiere appare comunque mezzo vuoto. E i nemici invisibili sono sempre di più. “I batteri che stanno maggiormente creando in tutto il mondo problemi di resistenze sono stati raggruppati sotto l’acronimo Escape, che sta per Enterococchi, Stafilococchi, Clostridium, Acinetobacter, Pseudomonas e Enterococchi – puntualizza Claudio Viscoli, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Università di Genova – Oggi qualche molecola nuova è all’orizzonte.
La ricerca si è orientata sia seguendo vie tradizionali, sia per vie innovative. Le vie tradizionali tendono da un lato ad espandere le conoscenze sulle vecchie “famiglie” di antibiotici per trovare nuovi e più efficaci composti e, dall’altro, ad associare alle vecchie molecole, ormai scarsamente attive, sostanze in grado di agire in tandem con esse restituendo l’attività perduta.
Vecchi farmaci in parte non più attivi vengono coniugati con molecole capaci di ripristinarne in parte l’attività, scindendo gli enzimi inattivanti prodotti dai batteri”.
Prima che questi farmaci o alcuni di essi possano essere in commercio e a disposizione (prezzi permettendo) non potranno passar meno di 2-7 anni nella migliore delle ipotesi. Per di più esiste il rischio tangibile che i batteri imparino rapidamente ad inattivare anche questi nuovi antibiotici e che quindi tanti sforzi e spese si rendano vani.
“Le vie innovative, che passano attraverso la scoperta di nuove famiglie di sostanze con attività antibatterica mediante metodiche tradizionali, l’identificazione di microrganismi ambientali non coltivabili in laboratorio e capaci di produrre molecole antibatteriche studiati direttamente nel loro habitat naturale, mediante particolari tecniche di coltura, e la messa a punto di farmaci “intelligenti”, come anticorpi appositamente disegnati per legarsi in modo esclusivo e letale a costituenti vitali per le cellule batteriche scarsamente suscettibili di mutazione, sono invece in fase sperimentale e non saranno disponibili a breve” conclude Viscoli.
Insomma, contro i superbatteri la guerra è solo agli inizi. E in attesa di novità, c’è chi va a studiare antiche ricette che oggi fanno sorridere, ma potrebbero avere un grande significato. E’ il caso di una vera e propria “pozione” con aglio, cipolla o porro, vino e bile bovina, fatta fermentare per alcuni giorni. Risale a più di mille anni fa ed è stata scoperta in un manoscritto, il Bald’s Leechbook. Secondo uno studio dell’Università di Nottingham, con queste rimedio si possono eliminare in elevata percentuale gli stafilococchi Mrsa.
La speranza viene dal passato, in attesa del futuro.
Dr. FEDERICO MERETA Nato a Genova nel 1959, laureato in Medicina e Chirurgia, si occupa di divulgazione medico-scientifica. E’ stato docente al Corso di Biotecnologie dell’Università di Genova e al Master in Health Communication presso l’Università Cattolica di Roma