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Superfici Implantari

Gli studi di Osborn e Newesley hanno mostrato che la neoformazione ossea avviene attraverso due fenomeni, l’osteogenesi a distanza e quella da contatto. Nel primo caso la deposizione da parte degli osteoblasti e la successiva mineralizzazione avviene in una direzione che va dalla periferia verso l’impianto, ossia l’osso va a circondare gradualmente la vite. Nel secondo processo si verifica un’osteointegrazione in direzione opposta, dall’impianto alla periferia. L’apposizione di nuovo osso esige un continuo richiamo di cellule dall’osso e dal circolo sanguigno verso l’impianto, dato che gli osteoblasti, dopo il differenziamento, sono solo in grado di produrre osso per apposizione. Una volta che essi si sono polarizzati, producono proteine ECM, specialmente collagene, con lo scopo di dare una struttura precisa all’interfaccia osso-impianto, che, dopo la calcificazione, si tramuta in matrice osteoide e infine in tessuto osseo .
Perché l’osteointegrazione avvenga nel modo più corretto e soddisfacente possibile, si sono sviluppati diversi trattamenti superficiali, che consentono di irruvidire la topografia: si preferiscono superfici rugose alle lisce perché assorbono di più le biomolecole coinvolte nei processi sopra descritti, favoriscono di più la differenziazione degli osteoblasti, aumentano la sintesi di ECM e incrementano l’aggregazione delle piastrine.
Lo scopo di “progettare” la morfologia di una superficie (si sfruttano trattamenti che creano la microtopografia desiderata) è il controllo dell’osteogenesi, tenendo conto che rugosità di dimensioni inferiori a quelle delle cellule non consentono a queste ultime di appiattirsi del tutto, promuovendone invece, come desiderato, l’attività osteoblastica (studi di Boyan et al.).
Il processo coagulativo risulta altrettanto importante: le indagini di Davies et al.  mostrano come le cellule del tessuto connettivo, potenzialmente osteogeniche, abbiano la capacità di migrare attraverso il coagulo che viene inizialmente a crearsi attorno ad un impianto, e si ritrovino poi in un ambiente creato dall’interazione tra sangue e titanio.
L’attivazione delle piastrine consente una corretta guarigione attraverso il rilascio di fattori di crescita e citochine.
A questo proposito è stato fatto un passo avanti, nel senso che non ci si è limitati a considerazioni fisiche o meccaniche, ma si mettono in rilievo aspetti biochimici, sottolineando il legame che la morfologia può avere anche con essi. In tutte queste osservazioni è necessario tener conto di una rugosità, come detto prima, dell’ordine o inferiore a quella dei corpi cellulari. Ecco dunque che sotto questo punto di vista la rugosità si caratterizza come “distanza tra gli elementi morfologici”:la grandezza delle proteine si aggira sui 1-10 nm, quella delle cellule sui 1-100 nm, mentre la lunghezza media di una cellula mesenchimale è di 5-12 nm, per cui una rugosità che superi queste dimensioni “viene interpretata dagli osteoblasti che si trovano tra i picchi come superficie liscia”.
Le prestazioni più in linea con dimensioni così precise sono date da tecniche di attacco con acido o di anodizzazione piuttosto che da trattamenti più tradizionali come la sabbiatura. Quando sono richiesti tali valori di rugosità, si adottano anche processi di finitura superficiale basati sugli ultimi miglioramenti tecnologici.

Superficie SLA
In seguito ai buoni risultati forniti dalle due tecniche sottrattive sabbiatura e mordenzatura si è pensato di unirne i vantaggi in un unico trattamento, al fine di ottenere una superficie SLA (sandblasted and acid- etched): la prima fase di sabbiatura consente di avvicinarsi molto ad una rugosità che determini un fissaggio meccanico forte, l’attacco acido perfeziona invece la conformazione topografica (smussa i picchi che si creano in seguito alla formazione delle microcavità) ed aiuta a promuovere l’adesione delle proteine, considerata fondamentale nelle fasi iniziali della guarigione ossea; aggiunge inoltre allo strato di ossido un ulteriore spessore di idruro di Ti, la cui specifica funzione resta ancora sconosciuta.
La superficie risultante non è la più ruvida che si possa avere (come in impianti rivestiti in HA o TPS), ma assicura una buona ritenzione meccanica che le morfologie anche più irregolari non favoriscono.
Nelle indagini tese a promuovere l’osteointegrazione attraverso trattamenti per migliorare la stabilità a lungo termine di un impianto, si è potuto vedere come si riescano ad ottenere vantaggi significativi considerando in maniera complessiva i fattori che agiscono nei vari step del processo. Una superficie con livello di rugosità superiore ad impianti lisci o machined induce sicuramente una risposta ossea più forte ed incoraggia positivamente i fenomeni, sia a livello cellulare che molecolare, di guarigione dei tessuti. Si ponga però attenzione all’entità dell’irruvidimento: si è potuto verificare che una rugosità moderata (viene suggerito un valore di rugosità in ampiezza Ra di 1.5 μm) non comporta solitamente l’insuccesso dell’integrazione, mentre una rugosità troppo alta (per esempio nelle superfici TPS) non sempre si traduce in buone prestazioni.
Un’opportuna ritenzione meccanica a livello interfacciale si può notare con trattamenti che combinano più tecniche: le superfici SLA rappresentano una soluzione appropriata degli (seppur non eccessivi) svantaggi dei singoli trattamenti di sabbiatura e di attacco con acido (per esempio si riducono i contaminanti lasciati dal mezzo sabbiante), in quanto consentono di innalzare la percentuale di adesione di proteine (fase di guarigione) e garantiscono un legame forte su scala micrometrica fra cellule del tessuto osseo e superficie implantare.

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